Fondaco Europa, l’intervento di Pier Paolo Baretta all’iniziativa con Calenda

Pubblichiamo di seguito l’intervento introduttivo di Pier Paolo Baretta all’iniziativa “Europa e Italia, capire la paura e ritrovare il coraggio“, organizzato da Fondaco Europa lo scorso 22 febbraio.

Ringrazio Carlo Calenda per aver accettato l’invito di Fondaco Europa e di essere qui, con noi, oggi. La grande adesione al Manifesto Siamo Europei di singoli, di Associazioni e di importanti forze politiche riformiste (tra cui il Partito Democratico), ci fa ben sperare che l’idea di Europa sia ancora viva nel cuore e nel futuro di molti.

Anche la numerosa partecipazione, a questo incontro, ci rincuora. Venezia vive da sempre della sua dimensione sovranazionale; della sua integrazione con il resto d’Europa e del mondo; della sua tolleranza e convivenza. E questa ne è la prova. Grazie!

E, ringrazio “Fronte democratico”; “7 Luglio” e “Passaggi a Nord Est” per la partecipazione e il contributo attivo al successo di questa serata.

L’interesse di molti, stasera, è anche rivolto agli effetti che l’iniziativa di Carlo Calenda può avere nella politica italiana, schiacciata nella tenaglia di un’esuberante gestione del potere da parte di chi ci governa e da un persistente affanno dell’opposizione.


Dietro i fuochi di artificio di comportamenti irrituali e di provocazioni, la maggioranza persegue una rivoluzione culturale e gestionale destinata a cambiare, sì, il Paese, ma in maniera illiberale e divisiva. L’intolleranza verso il “diverso”, meglio se di colore e di religione diverse; la complicità con le aree anti-sistema (come le frange estreme del movimento dei Gilet gialli); il fastidio verso l’impresa e i sindacati; la denigrazione delle Istituzioni democratiche (a cominciare dal Parlamento e – non lo dimentichiamo – dal Presidente della Repubblica); l’attacco a tutti gli apparati e i poteri indipendenti dello Stato (da ultima la Banca d’Italia); sono gli ingredienti di questa escalation che ci preoccupa e che ha come obiettivo costante la destabilizzazione dell’Europa.

A questo disegno generale bisogna contrapporre una nuova idea civica. E, l’Europa è, per noi, un punto essenziale di questa… ripartenza.

L’Europa, in questi anni, ha offerto grandi, incontestabili, opportunità (l’Euro e Schengen su tutto…) e ha impedito tragedie. Ma, si è appesantita a causa di un allargamento disordinato; è gestita da una tecnocrazia competente, ma miope e invadente; si è, troppo spesso, dimostrata disattenta ai bisogni locali e ai destini delle comunità; ed è incapace di offrire soluzioni alle crisi regionali che la circondano. Perciò appare, agli occhi dei suoi cittadini, lontana, matrigna, inerte. Attaccata a ovest da parte di Trump che la vuole debole e a est da Putin che, semplicemente, la vuole,  l’Europa sembra il famoso vaso di coccio di manzoniana memoria.

L’Europa, dunque, è malata. Ma, come per ogni malattia, prima di decidere se è destinata a morte naturale o, addirittura, per eutanasia, come vorrebbero i sovranisti, dobbiamo stabilire la diagnosi.

Per formularla bisogna rispondere a tre domande, che giro, solo come spunto di riflessione, anche ai nostri interlocutori e a Carlo, in particolare.

  1. Da cosa dipende la crisi dell’Europa?
  2. Ha l’Europa, ancora, le risorse, le energie per riprendersi?
  3. Senza Europa possiamo cavarcela lo stesso?

Da cosa dipende la malattia? Da obesità? Un eccesso di Europa, come sostengono, con formidabile efficacia comunicativa, i nuovi nazionalisti. O da anoressia? Ovvero la carenza di Europa.

Gli Stati nazionali sono naturalmente portatori di interessi particolari, ma il gioco esasperato dei veti incrociati e del peso del più forte, ha offuscato, spesso, gli interessi comunitari. È successo per i flussi migratori; per le politiche di sviluppo; per la gestione del debito; per le controversie sulle politiche industriali e commerciali; per l’assenza di una comune politica estera, in primis verso la Russia.

Il processo di unificazione e di integrazione, nato per necessità sulle ceneri della tragedia bellica, si è, poi, sviluppato con passione, fino a diventare realtà e sentimento comune. Ma, si è frantumato a causa del prevalere, non degli interessi legittimi dei diversi popoli, ma di egoismi parziali e localistici.

E, così, quando, dopo la caduta del muro, si avviò il grandioso processo di unificazione della Germania o quando fu introdotto l’Euro o furono varati Maastricht, Schengen o il trattato di Lisbona, non abbiamo saputo cogliere l’occasione per operare un salto di qualità che rendesse più robusta l’unione politica, che ne era la logica conseguenza. Attraverso, ad esempio, l’elezione diretta del Presidente del Governo Europeo. O attraverso una realistica proposizione degli Stati Uniti d’Europa: una federazione che riconosce le differenze, le apprezza, ma le mette insieme, con regole condivise, oltre l’unanimismo nelle decisioni.

Un’Europa come “patria delle patrie”, che sa apprezzare e valorizzare le storie e le potenzialità di ciascuno dei suoi membri; ma, al tempo stesso, porta a sintesi questa straordinaria varietà di esperienze.

E chi è stato responsabile di queste mancate scelte? La troppa Europa o il troppo nazionalismo?

Il nostro vecchio (per storia e per demografia) Continente ha, ancora, le energie per ripartire e un ruolo da svolgere nella ridefinizione dello scacchiere mondiale in subbuglio?

Io rispondo di sì. Innanzitutto, perché l’Europa è depositaria del principale patrimonio artistico e culturale, che la rende sempre più meta di visitatori e perché è produttore e consumatore di beni che esporta e importa da tutto il mondo, fino a essere, tuttora, il primo mercato globale. Questa forza è stata costruita attraverso un modello di economia sociale di mercato, di Stato sociale, di democrazia economica, che è parte dell’identità europea e che, sia pure logorato e da riformare, appare, sempre più, il solo in grado di dare una risposta equilibrata agli scompensi della globalizzazione: benefica se ben guidata; dannosa se lasciata senza regole. È quando abbiamo deviato da questo modello che ci siamo persi, interrompendo il rapporto tra i cittadini e l’Europa.

Alla terza domanda – se possiamo vivere senza Europa –  ha risposto la Brexit, da soli non si va da nessuna parte…

E noi che siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa; con il 66% delle nostre esportazioni che è destinato all’Europa; che deteniamo il più importante brand del mondo: il Made in Italy; che siamo il primo Paese al mondo per patrimonio artistico e il giardino d’Europa (tant’è che, nel 2018, abbiamo ricevuto 216 milioni di turisti); che,  data la nostra naturale posizione geografica nel Mediterraneo (che non porta solo migranti), godiamo di una potenzialità logistica straordinaria (terminale naturale della via della seta, anche se senza Tav o infrastrutture….), pensiamo, davvero, che tanto vantaggio competitivo sia compatibile con una visione autarchica?

Ci sono voluti pochi mesi perché la Gran Bretagna si rendesse conto di quanto fosse scriteriata un’idea di questo tipo in un mondo globale e ci sono volute poche settimane perché Salvini ricevesse, proprio dai suoi amici, sui migranti e sul deficit di bilancio, la dimostrazione che scelte isolazioniste non vanno da nessuna parte.

Se, dunque, queste sono le risposte, dobbiamo essere conseguenti: non ci resta che procedere verso una maggiore integrazione europea, non verso la sua dissoluzione.

Ma, per riuscirci serve anche una prospettiva politica di breve, che si misura con le prossime scadenze elettorali. Romano Prodi – nel lanciare la sua proposta, che sosteniamo, di esporre, tutti, il 21 marzo, la bandiera dell’Europa – ha auspicato che nelle prossime elezioni europee si confrontino ampie coalizioni. Paolo Gentiloni prospetta un largo fronte unitario europeista del centrosinistra. Carlo Calenda ha lanciato “Siamo europei”. Ci inseriamo in questo filone.

Non spetta a noi, qui, stasera, discutere delle forme con le quali, ci auguriamo, si concretizzi questa prospettiva; ma sosteniamo l’idea di un campo largo che si unisca, in una prospettiva progettuale ed elettorale, per raccogliere tutti coloro che credono nell’Europa e si battono per il suo miglioramento.

Non confondiamo il consenso di cui godono le forze nazionaliste e sovraniste, oggi al governo in molti paesi, tra cui l’Italia, sui temi economici e dei migranti, con la loro posizione sull’Europa. Quando si parla di Europa le cose cambiano. La critica all’Europa è aspra, diffusa, a volte irrazionale, ma non arriva, per la maggior parte degli italiani, a contemplare l’uscita dall’euro e dall’Unione. Nella recente vicenda, che ha visto il nostro governo retrocedere nel negoziato con la Commissione europea sui saldi di bilancio, una buona parte dei cittadini riteneva necessaria un’intesa con questa Europa.

Questo non riduce la necessità di cambiare profondamente l’Europa e non rende più facile la battaglia elettorale che ci attende, ma ci dice che, per la maggior parte degli italiani, l’Europa resta un orizzonte turbolento, ma irrinunciabile.

Basta, dunque, indugi e prudenze. Mobilitandoci per una nuova Europa. Rivolgiamoci alla tanta gente che è delusa, che si è allontanata dalla politica (a cominciare dal voto!), a coloro, ancor più numerosi, che non condividono le politiche (e gli atteggiamenti) che ci vengono proposti, ogni giorno, ma che non trovano ancora risposta alla loro domanda di partecipazione civica. Mobilitiamoci per riunire ciò è diviso; risvegliare chi è assopito, incoraggiare chi è intimorito.

Serve una piattaforma che costituisca il programma condiviso di questa avventura.

Dieci anni di crisi economica e sociale hanno sfibrato la fiducia verso la crescita, la solidarietà, l’uguaglianza. In una parola: verso il futuro. Dobbiamo rilanciare i valori di riferimento e le piattaforme progettuali che scuotano le coscienze. Una crescita equa e sostenibile; il lavoro e l’impresa; la lotta alla disoccupazione, alle disuguaglianze, alla povertà e all’emarginazione sociale; l’accoglienza nella sicurezza: non devono essere motivo di divisione tra i progressisti e i riformisti, più o meno moderati, più o meno radicali…

Forse, nemmeno l’Europa da sola può bastare a questo scopo; ma senza Europa, o con una Europa malata, debole o compromessa, questo futuro non ci sarà.

2019-02-25T17:43:09+01:00 25 Febbraio 2019|In evidenza, Notizie dal Veneto, Opinioni|

Scrivi un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.