L’intervista di Res a Pier Paolo Baretta, sottosegretario al Mef e presidente dell’associazione Res.
Sottosegretario Baretta, quali sono i principali destinatari del Decreto “Cura Italia”, pubblicato ieri sera in Gazzetta Ufficiale?
Direi che abbiamo pensato davvero a tutti. Ci sono misure per la sanità e per i soggetti pubblici impegnati nell’emergenza Coronavirus. C’è un forte sostegno all’occupazione e ai lavoratori. Le famiglie sono supportate sul fronte del credito, così come gli imprenditori. Questi ultimi, insieme ai liberi professionisti, possono contare ad esempio sulla sospensione degli obblighi di versamento. Gli interventi economici sono massicci, pari a 25 miliardi di euro.
Quali sono le misure per fronteggiare l’emergenza sanitaria?
Con il provvedimento diamo il via libera all’assunzione di 20 mila addetti per il Sistema sanitario nazionale: parliamo di medici, infermieri e operatori socio-sanitari. Per l’abilitazione alla professione medica basterà la laurea, viene abolito il vecchio esame di stato. Ci sono incrementi significativi per il Fondo delle emergenze nazionali e per gli straordinari del personale sanitario. Abbiamo deciso di aumentare i posti letto in terapia intensiva e nelle unità di pneumologia e malattie infettive e di assegnare finanziamenti alle imprese produttrici di dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale, come mascherine e respiratori. Infine ci sono fondi per la pulizia straordinaria e per la sanificazione degli ambienti. La sanità è la vera frontiera. Se è vero che sta reggendo bene dal punto di vista soggettivo, e mi riferisco all’impegno encomiabile e commovente del personale, è altrettanto vero che sta dimostrando carenze di struttura amplificate dall’eccezionalità del momento.
Gli italiani sono fortemente preoccupati per il loro lavoro e per il reddito. Che risposte avete dato loro?
Anche su questo fronte il Governo ha dato davvero il massimo: l’estensione della cassa integrazione in deroga, l’indennizzo di 600 euro per lavoratori autonomi, partite Iva e stagionali, il Fondo per il reddito di ultima istanza per i professionisti iscritti alle Casse, l’allargamento del congedo parentale, il bonus per i servizi di baby-sitting sono le risposte alle legittime preoccupazioni dei cittadini.
Un altro rischio è che imprese e famiglie possano trovarsi in situazioni di carenza di liquidità. Quali misure avete previsto?
Il Decreto contiene numerosi provvedimenti su questo tema, anche attraverso la collaborazione con il sistema bancario. Su questo argomento, però, è necessario un intervento di respiro europeo. Tutto il continente si troverà presto a dover fronteggiare lo stesso problema che oggi sta angosciando l’Italia. L’Europa dovrebbe pensare a misure eccezionali, come ad esempio l’Helicopter Money, che consente di far arrivare denaro liquido direttamente nelle tasche dei cittadini attraverso un aumento della moneta in circolazione.
Cos’altro può fare l’Europa?
Lo ‘scivolone’ sullo spread fatto dalla presidente della Bce Christine Lagarde è stato un campanello d’allarme. L’Europa deve capire che è come se fossimo in guerra, e che in questa situazione di emergenza certi vincoli di bilancio non stanno più in piedi, e le regole del patto di stabilità si dimostrano completamente inadeguate. Non si può affrontare il problema del Coronavirus caso per caso, Stato per Stato. Bisogna avere una prospettiva globale, ci vuole un piano europeo. Io fossi in loro inizierei a valutare con grande attenzione l’emissione di eurobond.
Sull’emergenza sanitaria tanti addetti ai lavori hanno messo a confronto il modello italiano con quello del Governo inglese. Come giudica gli annunci del premier Boris Johnson?
Sono due modelli molto diversi. Da un lato abbiamo una protezione generale, da farsi sempre e comunque, anche allo stremo delle forze e delle possibilità. Dall’altra stiamo assistendo a una sorta di ‘protezione selettiva’. Una idea diversa di Stato che ha motivazioni profonde, culturali ed etiche, che affondano nella storia. Io ritengo che lo Stato debba sempre considerarsi un punto di riferimento collettivo dei cittadini, considerati persone e comunità. Mai come in questi momenti c’è bisogno di uno ‘Stato sociale’: nessuno deve sentirsi abbandonato, e questo vale sia sul piano sanitario che su quello economico.
A proposito di Stato sociale: nei giorni scorsi avete già annunciato un nuovo provvedimento. Che tempi prevedete?
I 25 miliardi già distribuiti a famiglie e imprese, pur rispondendo alla drammatica emergenza che si è abbattuta, purtroppo non risolvono tutti problemi, ma tendono ad arginarli. Ci sarà un nuovo provvedimento, ci stiamo già lavorando e contiamo di approvarlo nel mese di aprile. In questo momento abbiamo il dovere di impiegare tutte le risorse possibili, e parliamo di cifre davvero ingenti. Lo facciamo non certo perché siamo uno Stato economicamente florido e in crescita, ma perché, come dicevo, siamo uno Stato sociale, e in questo momento abbiamo il dovere di dimostrarlo. Siamo alle prese con una imponente manovra tutta di spesa, ma è in grado di reggere la prova di un bilancio pubblico già in difficoltà perché dietro c’è un’idea di politica e di società.
Ci sta dicendo che è possibile conciliare la tenuta dei conti e la valenza “sociale” dello Stato?
Le risorse che abbiamo deciso di investire nelle misure del Decreto sono cresciute nei giorni: all’inizio erano 3,5 miliardi, poi 7,5 e infine si è saggiamente arrivati ai 25 miliardi, praticamente una manovra. Si tratta dell’intera cifra che il Parlamento ci ha autorizzato ad investire. La decisione di impiegare subito tutte le risorse è sicuramente la meno lungimirante e conveniente per i conti pubblici, ma quella che risponde meglio alla domanda di vicinanza e di aiuto dei nostri cittadini. Forse non sarà stata la scelta economicamente più giusta, ma in questo momento storico è stata la migliore. Ci espone a rischi, è vero. Ed è per questo che è necessario subito un massiccio piano europeo. Ma la scelta che il Governo ha fatto ci ha messo nelle condizioni di stare dalla parte dei cittadini, di affrontare l’emergenza sanitaria ed economica insieme, con lo stesso spirito di solidarietà di popolo che ha segnato i grandi momenti della nostra storia.
Lei personalmente come sta vivendo questi giorni?
Mi trovo a Venezia, in costante collegamento con il mio staff ministeriale. Nella mia città sto avvertendo distintamente lo sgomento, la paura, le difficoltà di famiglie, imprenditori, professionisti, lavoratori, pensionati. Torno a ripeterlo: nessuno deve sentirsi abbandonato dallo Stato. Questo vale sul piano sanitario, ovviamente, ma deve valere anche sul piano economico.
A proposito di Venezia: nelle scorse settimane è stata ufficializzata la sua candidatura alle elezioni comunali, in programma a maggio ma fortemente a rischio rinvio. Perché ha deciso di mettersi in gioco?
Siamo di fronte a una sfida difficile ma affascinante: pensare la città del 2040, del prossimo ventennio. Negli ultimi anni, grazie al mio incarico di sottosegretario al ministero dell’Economia, mi sono sempre attivato per il bene di Venezia, contribuendo a portare centinaia di milioni alla città, senza badare al colore politico di chi la governava. Lo stesso Decreto stanzia risorse importanti per i settori più colpiti, tra i quali ci sono il turismo e la ristorazione, colonne portanti dell’economia veneziana. Credo però che sia arrivato il momento di togliere a Brugnaro e alla Lega questa città, il suo futuro, e di darle una prospettiva, una idea di domani. La mia esperienza rappresenta sicuramente un motivo di sicurezza per i veneziani, ma il mio compito principale sarà costruire una classe dirigente innovativa per volti e idee. Vorrei essere l’allenatore di una squadra di nuove generazioni, impegnate per il futuro della città. Una città complessa e difficile da gestire, ma che ha nella sua unicità e nel suo fascino i suoi punti di forza. Una Capitale di cultura e dialogo che tutto il mondo riconosce e ci invidia.
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