Welfare e Previdenza 2018-02-04T17:43:56+01:00

WELFARE E PREVIDENZA

IN NOME DELL’UNIVERSALISMO. UN NUOVO PATTO PER IL WELFARE

Ogni persona ha il diritto di accedere tempestivamente a un’assistenza sanitaria preventiva e terapeutica di buona qualità e a costi accessibili

È questo l’impegno che hanno assunto il 17 novembre 2017, a Goteborg, i leader europei con l’approvazione della Carta Ue dei diritti sociali, che al punto sedici pone l’attenzione sull’Assistenza sanitaria. Sullo stesso piano si pone la scelta del Governo italiano di misurare l’andamento dell’economia, andando al di là del Pil e inserendo – primo in Europa e nel G7 – dodici indicatori di benessere equo e sostenibile, quattro dei quali nella legge di bilancio. Dei dodici, tre hanno impatto sulla salute pubblica: le emissioni di CO2 e di altri gas clima alteranti, la speranza di vita in buona salute alla nascita e l’eccesso di peso.

Ciò diviene ancor più importante in questa fase, nella quale tutti gli indicatori e gli osservatori ci dicono che la crescita economica c’è, è una realtà. Ma una crescita che non si occupasse della qualità del modello economico sociale e lasciasse fuori gioco troppe persone che prospettiva può avere? Non rinunciamo, perciò, a pensare a un’economia capace di ridurre le disuguaglianze, sostenere la crescita e puntare ad una equa redistribuzione delle risorse. È in questo contesto che deve inserirsi una riflessione sul nostro sistema sanitario, che pure è uno dei migliori del mondo.

Da un lato, va ricordato che rispetto alla media europea la nostra spesa sociale è più contenuta. Questo divario si riduce se rapportato al Pil: l’Italia è al 9,4%, contro il 10,4% dell’Europa Occidentale, ma assume contorni preoccupanti se confrontato con i ritmi di crescita. Negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria pubblica italiana è cresciuta dell’1% medio annuo contro il 3,8% degli altri Paesi dell’Europa Occidentale.

Dall’altro lato, sappiamo che la spesa di welfare e sanitaria è destinata a crescere. Lo dimostrano le nostre curve demografiche e i dati sull’aspettativa di vita: in Italia, gli uomini vivono in media più di 80 anni, quota che sale a quasi 85 anni per le donne. È un dato incontrovertibilmente positivo, ma che impone anche una riflessione profonda sulle scelte di sanità pubblica, sempre più orientate al modello del long term care.

Si impone, a questo punto, una domanda decisiva: lo Stato sarà in grado di far fronte, da solo, a questa crescente domanda di welfare, mantenendone la qualità e la universalità?

No! E non serve continuare a difendere un universalismo di facciata dietro al quale si celano profonde diseguaglianze e livelli decrescenti di assistenza.

Cosa possiamo fare per trasformare questo problema in un’occasione?

La prima strada è, per l’appunto, dare vita a un nuovo paradigma interpretativo che assuma l’invecchiamento della popolazione come una risorsa e non come un problema. Ciò è possibile grazie alla diffusione dell’idea di Silver Economy, l’insieme di servizi e di prodotti destinati alla platea degli over 50, che Merrill Linch nel 2014 stimava valesse 7mila miliardi di dollari all’anno. Non mi riferisco solo ai servizi sanitari e sociali, ma anche a quelli connessi a benessere, turismo, cultura, sicurezza, prodotti del credito e finanziari.

Una seconda strada è di tipo fiscale. Abbiamo visto che ci sono margini di miglioramento dei costi che non sono tagli di servizi, anzi il contrario. È applicabile lo stesso principio alla fiscalità? È possibile cioè ripensare alla riforma della fiscalità secondo principi di redistribuzione sociale. Che rapporto c’è tra il sistema di esenzioni e il reddito? Faccio un esempio. Non si favorisce un benessere equo e sostenibile se chi vive con una pensione sociale, e chi ha una condizione economicamente agiata hanno le stesse detrazioni? O, di fronte al ticket (salvo, ovviamente, gli incapienti)? Resta, a 50 anni, sempre valido l’insegnamento di don Milani, per il quale: “fare parti uguali tra disuguali” non è giustizia! Ed è anche diseconomico.

Una terza strada è la condivisione. Lo Stato italiano deve essere in grado di siglare un nuovo patto sociale con i suoi cittadini, basato sulla compartecipazione tra pubblico e privato. Penso al grande mondo del Terzo settore e all’attenzione legislativa che, finalmente, c’è. Penso al welfare aziendale o ai Fondi sanitari integrativi, frutto della contrattazione collettiva che lo Stato deve mettere in condizione di intercettare la massa consistente di quei 36 miliardi l’anno di spesa privata. Vanno in questa direzione gli incentivi fiscali previsti nella legge di bilancio 2017.

Siamo di fronte ad una sfida affascinante, che, come succede in ogni passaggio d’epoca – perché di questo si tratta – passa attraverso una capacità di visione e di innovazione.

Il traguardo del benessere equo e sostenibile promosso dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite trova nella sanità uno dei suoi principali banchi di prova. L’Italia parte avvantaggiata. Ciò aumenta le nostre responsabilità ed il nostro impegno.