Vi proponiamo l’intervento dell’on. Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, all’iniziativa sul tema del cosiddetto “Patent Box”. L’evento è stato organizzato dalla Scuola di Economia, management e statistica – Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’economia dell’ALMA MATER STUDIORUM – Università di Bologna.
“Il regime agevolato dei redditi derivanti
Dall’utilizzazione dei beni immateriali
Il cd. “Patent Box”
(Bologna, 25 Settembre 2015)
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Relazione introduttiva di PIER PAOLO BARETTA
Ringrazio molto l’Università di Bologna, la Scuola di Economia ed il Dipartimento per l’invito, che ho accettato volentieri, a partecipare ed introdurre i lavori del Convegno di oggi sul Patent Box.
Non è usuale che l’intervento del rappresentante del Governo sia quello di apertura di un convegno; tanto più di un convegno così specializzato. Non tanto per preservare quel tasso di… genericismo che viene normalmente attribuito ad un politico; bensì, perché, solitamente, si tende a far sì che il Governo ascolti le idee, le proposte, le proteste e le richieste degli organizzatori e, a queste, semmai, replichi.
Ho, invece, accolto di buon grado questa scelta degli organizzatori perché mi consente di offrire alla vostra riflessione odierna alcuni spunti di scenario che accompagnano questo provvedimento.
Come ben sapete, con l’intervento in questione, il Legislatore ha inteso incentivare la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero, tant’è che nella relazione illustrativa alla Legge di Stabilità dello scorso anno, che ha introdotto il regime del patent box, abbiamo dato conto delle scelte operate dai Paesi Bassi, Gran Bretagna, Belgio, Lussemburgo, Francia e Spagna.
Lo scopo esplicito del Governo è quello di incoraggiare il mantenimento in Italia dei beni immateriali, della proprietà intellettuale, dei marchi, evitandone la riallocazione all’estero e, di conseguenza, favorire l’investimento in attività di ricerca e sviluppo.
Sotto il profilo oggettivo, il regime dell’IP Patent Box si rivolge ai redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, di marchi di impresa, di disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.
Purtroppo questo provvedimento è poco conosciuto tra i non addetti ai lavori, mentre la conoscenza diffusa del suo significato, nonché dei suoi contenuti, ha un valore che trascende il suo utilizzo; sicché pubblicizzarlo è un compito, anche culturale, che dobbiamo assumere insieme; anche per questo va apprezzata questa iniziativa.
Ad una prima vista, infatti, e tenendo conto delle conosciute difficoltà del nostro Paese nel provvedere seriamente al sostegno della ricerca ed innovazione, questo provvedimento può apparire come un casuale ed isolato ravvedimento normativo in un quadro normalmente desolato e poco favorevole.
Non è così! Sia pure senza ignorare le nostre difficoltà, che sono ancora molte – ma siamo solo agli inizi di un progetto di riforme che il Governo persegue per rilanciare l’Italia – la scelta di intervenire su questa delicata, ma importantissima, questione corrisponde ad una precisa strategia, o, se preferite un approccio più modesto, ad una precisa intenzione, nostra, di dar corso ad un processo di innovazione e valorizzazione delle nostre risorse interne, non solo quelle materiali, importantissime; ma, anche, se non soprattutto, immateriali. Si tratta, infatti, di un fronte che consideriamo davvero strategico per il nostro Paese.
A riprova di ciò bastino, in questo consesso, due affermazioni, evidenti.
La prima: siamo in una fase di ripresa economica; dopo sette anni (biblici!) di recessione intravvediamo una qualche via di uscita. La ripresa è certa, i dati di cui disponiamo – dall’export alla produzione industriale, da ultimo ai consumi, vanno nella direzione giusta. Ma, non ci sfugge, che si tratta, ancora, di una ripresa certa sî. ma fragile. Un po’ come i germogli di primavera: ci sono, sono veri, ma così fragili che se arriva una grandinata perdiamo il raccolto…
Il nostro primo compito, in questo contesto, è quello di irrorare, irrobustire questi germogli, affinché siano in grado di fruttificare, sicché il raccolto sia fertile e sappia, la pianta della ripresa, resistere agli inevitabili momenti di maltempo.
Come possiamo pensare di irrobustire il nostro apparato produttivo e sociale se non agendo sulla ricerca e la innovazione e, dunque, tutelando e sviluppando le nostre risorse intellettuali ed artistiche?
La seconda: uno dei principali assi di questa ripresa, e della nostra credibilità nel mondo, è certamente il Made in Italy; la capacità, cioè, tutta italiana di unire idee, gusto e tecnologia.
Cosa è il Made in Italy se non qualità e bellezza?
Non ho bisogno di dichiarare, in questa sede, nel quadro di contesto appena descritto, il ruolo decisivo che assume una politica di protezione e difesa delle proprietà intellettuali e di quanto sia fondamentale consentire che agiscano in Italia.
Pensiamo, per un momento, ai tre assi fondamentali di crescita con i quali possiamo sfidare il futuro. Il primo: l’industria. Non dimentichiamo mai che siamo, nonostante la crisi, il secondo paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania; e non dimentichiamo, nemmeno, a proposito di Made in Italy, che dietro la genialità, c’è sempre una Università, uno studio professionale ed artistico, ma, soprattutto, una impresa meccanica, tessile, chimica, agroalimentare che dà vita a quell’oggetto così amato ed apprezzato nel mondo);
Il secondo asse è rappresentato dal turismo e dalla cultura. Abbiamo il maggior patrimonio artistico del mondo ed una condizione ambientale complessivamente invidiabile e, se è, pur vero, che monumenti e bel tempo non sono delocalizzabili, non è così per tutto quel mondo che circonda il turismo e la cultura.
E, infine, terzo asse: la logistica. Guardiamo per un momento l’Italia con la prospettiva delle antiche carte (dall’alto, cioè dalle Alpi in giù), vediamo come essa è una lunga banchina proiettata nel mediterraneo, che, nonostante le turbolenze attuali, è tornato ad essere il luogo principale dei traffici. Ed una nave, che proviene da Singapore ed esce da Suez, se trova un buon porto ed un buon accesso, nel retro terra, verso l’Europa, impiega sempre 3 giorni in meno che superare Gibilterra per andare a Rotterdam… Quando, nei mesi scorsi, l’Agenzia delle Dogane ha predisposto, per i principali porti italiani, lo sdoganamento a mare per le merci imbarcate nelle navi, aumentando clamorosamente la nostra competitività, lo ha potuto fare perchè ha impegnato per anni risorse e cervelli in ricerca ed innovazione.
Insomma, c’è un contesto economico e politico favorevole a questa linea di sviluppo, di cui il patent box è un tassello protagonista.
Che il varo di un provvedimento legislativo sul Patent box non sia stato un… colpo di mano, per quanto positivo, bensì di un progetto in divenire, è dimostrato dall’iter legislativo che ha approvato la norma. A cominciare dal fatto che gli articoli 37/45 della stabilità 2015 sono stati preceduti da un percorso legislativo e politico crescente. Mi riferisco, innanzi tutto, al decreto “destinazione Italia” (all’art. 3 del D.L. n. 145/2013) con il quale si era introdotto il cd. “Credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo”.
Ricordo che, in sede di conversione, il Senato aveva espresso la volontà di impegnare “il Governo (…) a promulgare un dispositivo normativo, in analogia al Patent Box, che contempli una tassazione agevolata per gli utili derivanti dalla commercializzazione di brevetti e proprietà intellettuali”. Così, l’art. 7 del Disegno di Legge originario delle Stabilità 2015 – su iniziativa diretta, cioè, del Governo – poi confluito nel testo definitivo della legge, nell’art. 1, commi da 37 a 45 – proponeva un avanzamento di quanto previsto dall’art. 3 del “destinazione Italia”, ampliando la portata applicativa del credito di imposta e introducendo il regime che oggi definiamo dell’IP Patent Box.
Successivamente, con il D.L. n. 3/2015, la portata applicativa dell’IP Patent Box è stata ulteriormente ampliata e rivista. Il provvedimento “Investment Compact”, ha modificato la Legge di Stabilità, ed ha esteso la detassazione anche ai marchi commerciali, ai disegni e ai modelli, in precedenza esclusi. Tale inclusione rappresenta un salto di qualità normativo ed è certamente coerente con la logica ispiratrice dell’intervento, nei termini strategici da me prima evidenziati, in quanto ne consente la fruizione anche alle imprese italiane leader in settori decisivi per la nostra economia, quali, ad esempio, nel settore della moda o del design, e che siano, perciò stimolate ad allocare i propri marchi in Paesi a fiscalità privilegiata.
Se la ratio che ha ispirato il provvedimento è certamente di natura economica: favorire, cioè, la crescita e l’occupazione, la modalità adottata ha posto le basi per creare un sistema fiscale specifico, capace di frenare i fenomeni elusivi/evasivi di delocalizzazione. Abbiamo tutti presente le polemiche sui vantaggi fiscali offerti da altri Paesi europei, anche confinanti; veri e propri “concorrenti” nell’attrarre la capacità contributiva prodotta dalle imprese italiane, grazie alla loro capacità di offrire regimi fiscali più “appetibili”. Se, infatti, i Paesi emergenti sono concorrenziali sul costo del lavoro, quelli più vicini e più simili, lo sono dal punto di vista normativo e fiscale.
Il Legislatore, dunque, ha voluto intervenire su una tematica rilevante cercando di rendere “attrattivi” per le imprese (nazionali e non) lo sviluppo e la detenzione dei beni immateriali nel nostro Paese, con un una sorta di “premio” per quelle che svolgono in Italia attività idonee ad accrescere il valore dei un bene immateriale e ne sostengono i relativi costi.
Fin dal già citato “destinazione Italia” emerse, infatti, la considerazione per cui il Patent Box è una “speciale tipologia di agevolazione fiscale che tutela la proprietà intellettuale con il duplice obiettivo di attirare idee innovative e brevetti e nello stesso tempo contenere la fuga verso paradisi fiscali, resa più semplice a motivo della elevata mobilità di cui godono simili proprietà”.
Il fatto che, poi, con l’Investment compact si siano inseriti i marchi rende esplicito non solo l’orizzonte strategico, come abbiamo già detto, ma, anche – ed è interessante sottolinearlo – il “gioco” (se posso, in maniera irriverente, ma credo efficace, definirlo così!), il “gioco” fiscale che lo realizza.
È opportuno, a questo proposito, sviluppare una considerazione più generale. Si sta cioè, finalmente, consolidando, anche all’interno della Amministrazione, stimolata da una politica più attenta e sensibile alle nuove logiche dello sviluppo globale, una nuova visione del ruolo del fisco, non solo come esattore, ma come fattore di crescita e di sviluppo.
Una concezione che è sempre stata presente in teoria, ma che ha spesso faticato ad affermarsi nella pratica delle scelte concrete. Spesso per ragioni serie quali legate alle difficoltà di finanza pubblica o quelle dipendenti da una cautela mentale (una sorta di azzardo morale di tipo fiscale) degli addetti fiscali pubblici che si pone come argine preventivo ai rischi indotti da una politica tendenzialmente spendacciona. Insomma, una sorta di equilibrio tra chi propone di spendere e chi cerca di impedirlo. Ma non possiamo ignorare che, spesso, si tratta di un approccio mentale conservatore dell’idea fiscale.
Va notato, però, che negli ultimi anni, con il sopravvenire, anche in politica, di una cultura di attenzione all’equilibrio finanziario del bilancio (talvolta anche eccessivo: si pensi alla discussione tra pareggio di bilancio o, più correttamente, equilibrio di bilancio), le cose stanno e possono cambiare.Questa nuova mentalità ha consentito l’affermarsi, con minore preoccupazione o ritrosia, di una idea fiscale che potremo definire “propulsiva”.
Il più clamoroso esempio recente è il bonus energetico, figlio maturo di quelle lontane esperienze di rottamazione (auto ed elettrodomestici). La possibilitá di detrarre, sia pure in 10 anni, il 55 o 65% (a seconda delle tipologie) delle spese per la manutenzione straordinaria delle abitazioni e del loro rifacimento energetico ha sviluppato un volume di investimenti da parte delle famiglie italiane di ca 27 miliardi di euro in due anni e mezzo, favorendo molta emersine dal nero e contribuendo a nuove, importanti, entrate IVA.
Un altro interessante esempio è la decisione di non applicare un aumento di imposta, che la stabilità ha adottato, per le casse previdenziali ed i fondi pensione, nel caso che investano in economia reale. Va detto che le casse e i fondi sono detentori di un patrimonio di circa 220 miliardi di euro, investito, nella quasi totalità, in debito; metà debito estero e metà debito italiano. È curioso notare, a proposito di quella definizione di “gioco” fiscale che ho utilizzato prima, che questo vantaggio fiscale nasce da una riflessione tutta politica su un incremento di tasse considerato necessario ai fini di copertura dei provvedimenti di spesa, ma depressivo per lo sviluppo del settore (casi analoghi si ripetono: la nautica, il settore della birra, i pallet s per riscaldamento, …). Bene, diciamolo chiaro: la imposizione fiscale aggiuntiva era, ovviamente, vissuta come una… fregatura dagli operatori del settore, che è stata trasformata in una opportunitá.
La possibilitá cioè di non subire l’aumento delle tasse se le risorse a disposizione vengono investite. La norma diventa depressiva (più imposte) nel caso di gestione statica del patrimonio, ma propulsiva (meno imposte) nel caso di una gestione dinamica del patrimonio stesso.
Per lo Stato l’effetto è: o maggiori entrate, nel primo caso, o maggiore crescita, nel secondo, attraverso il recepimento di risorse finora passivamente allocate.
Si pensi alla analogia concettuale con l’argomento di oggi, laddove, per godere della detassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione degli stessi beni immateriali, la condizione è che, entro il secondo periodo di imposta successivo alla vendita, almeno il 90% del relativo corrispettivo venga reinvestito nella manutenzione e nello sviluppo di altri beni sottoposti al regime agevolato.
La ratio di tale condizione risiede nella scelta di favorire le imprese che – una volta effettuata la cessione di determinati beni immateriali – continuano ad occuparsi di ricerca e sviluppo di intangibles (eventualmente anche di natura diversa rispetto a quelli precedentemente ceduti).
Possiamo, cioè, dire che – per restare ai principali esempi – con il bonus energetico, il bonus per casse e fondi ed il patent box si sta ormai consolidando una cultura fiscale di tipo “promozionale” di scelte strategiche. Un investimento immediato che dà anche alle finanze pubbliche un ritorno positivo.
Proprio, dunque, perché attribuiamo al regime del patent box una rilevanza primaria è bene discutere un aspetto di merito che dovremo affrontare echeggia certamente voi discuterete anche oggi. Come sapete il patent box è volontario, ma vincolante. Nel senso che il regime agevolativo opera su base opzionale, prevedendo, però, un obbligo di permanenza quinquennale. L’obiettivo del Legislatore è, indiscutibilmente, quello di evitare la fuga all’estero della proprietà intellettuale. Ma, questa opzione dovrebbe prevedere, anche ai fini della attrattività e della efficacia, che la agevolazione fosse permanente. Ovvero superasse il vincolo temporale oggi previsto o, comunque, prevedesse il rinnovo.
Spero di aver, sia pure brevemente, dato conto delle ragioni e delle intenzioni del Governo. Sono certo che il vostro contributo ci consentirà di proseguire e migliorare una cultura economica e fiscale al miglior servizio delle straordinarie opportunità che il nostro Paese possiede. Buon lavoro!
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