“Detrazioni, deduzioni, pensioni: va ripensata l’agenda del welfare”

“Sgombriamo un luogo comune: se si parla di welfare non si parla di poveri e sfigati. E’ condizione generale del benessere sociale. E’ una invenzione recente e soprattutto è importante aver presente che ha un’origine mutualistica: lo Stato viene dopo”. Lo ha dichiarato a Capodarco il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, all’iniziativa “Le frontiere del welfare”, nel contesto del XXII seminario per giornalisti di Redattore Sociale. “Nel welfare – ha detto Baretta, intervenuto insieme a Cristiano Gori, docente di Politiche sociali alla Cattolica di Milano, direttore di Welfare Oggi e coordinatore dell’Allenza contro la povertà – ci sono le pensioni, trasversali alle classi sociali, c’è la sanità, ci sono le scuole e l’educazione, oltre all’assistenza. Sostanzialmente per sanità, scuola è prevalsa una concezione universalistica rispetto a una concezione contributiva o reddituale. La spesa sociale italiana è il 30% del Pil, le pensioni il 15%, la sanità l’8%. Il rimanente è tanto e si frantuma facilmente. Il welfare – ha spiegato l’esponente del Pd – viene erogato attraverso prestazioni, contribuzioni (pensioni) e attraverso una terza voce molto importante e poco analizzata, vale a dire detrazioni e deduzioni. Ogni italiano in denuncia dei redditi ha a disposizione 700 voci circa per un valore complessivo di minori entrate per lo stato di 250 miliardi di euro. Bisognerebbe avere il coraggio di metterci le mani. Alcune potrebbero essere orientate a favore di altre voci di spesa. Esempi: sono detraibili le spese per le lenti da vista: mia madre è pensionata ed è giusto, io faccio il deputato e posso pagarmele. Il fatto è che sono disancorate dal reddito. Stessa cosa per il mutuo sulla casa. Questo elemento apre uno scenario di discussione delicato ma molto rilevante: qualche miliardo si potrebbe ricavare modificando i criteri. Ai fini di un ripensamento della spesa, occorre decidere dove si trovano”.

Il sottosegretario all’Economia ha aggiunto: “Quello che mi sembra importante, più che le cifre, è il segnale di inversione di tendenza. Dal 2008 al 2010 i fondi sono stati quasi azzerati, poi c’è stata una leggera ripresa. Per esperienza so che se un tema passa dai convegni alla legge di Stabilità non torna più indietro. E il fatto che adesso vi sia entrato significa che non si tornerà indietro. Oggi la pensione minima è 400 euro e rotti, non sostenibile se la consideriamo come riferimento. Se si fa un reddito minimo e lo si porta a 700 euro, occorre ripensare, quindi, proprio la struttura delle pensioni. Ripensare una pensione minima di base, contributiva, a cui aggiungere la previdenza complementare. Ma questo costerà 15 miliardi senza una rivisitazione complessiva. L’introduzione della misura sulla povertà dovrà modificare il tema della redistribuzione, compresa la ridefinizione della no tax area. Insomma, va riorganizzata l’intera agenda del welfare”, ha concluso Baretta.

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2015-11-28T14:21:50+01:00 28 Novembre 2015|News|

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